PRESENTAZIONE DEGLI ALTRI QUADRI.
Provo ad andare a ritroso per dare senso all’evoluzione, è un modo di spiegare.
Per tutto la vita lavorativa, e di studio, ho abbandonato l’arte. I miei decisero che la Bocconi sarebbe stata più rassicurante di Brera. Credo avessero ragione. In tempi di “vacche grasse”, come quelli che ho vissuto, si poteva arrivare comunque a gratificarsi trovando compromessi fra lavoro e attitudine. Il mio unico talento era la creatività. I miei datori di lavoro mi chiedevano anche logica e disciplina e io li ho accontentati, anzi ho nascosto i miei trascorsi artistici per sembrare più affidabile, dovevo anche farmi perdonare di essere comunista e portare i capelli lunghi. Poi ero tenace e questo apriva le porte.
Per tutto la vita lavorativa, e di studio, ho abbandonato l’arte. I miei decisero che la Bocconi sarebbe stata più rassicurante di Brera. Credo avessero ragione. In tempi di “vacche grasse”, come quelli che ho vissuto, si poteva arrivare comunque a gratificarsi trovando compromessi fra lavoro e attitudine. Il mio unico talento era la creatività. I miei datori di lavoro mi chiedevano anche logica e disciplina e io li ho accontentati, anzi ho nascosto i miei trascorsi artistici per sembrare più affidabile, dovevo anche farmi perdonare di essere comunista e portare i capelli lunghi. Poi ero tenace e questo apriva le porte.
Ancora il B/N.
Bianco contro nero – nero contro bianco. Così diversi eppure la medesima trama.
La scelta è acromatica sia sull'asse della forma sia sul piano del contenuto: dramma della materia.
Cosa vogliono raccontare? Conflitti.
Fra memoria e presente, fra presenza e assenza, fra quello che si crede e ciò che è.
Perché la simbologia mostra le materie vili della città: bitumi, lamiere e crepe?
La strada , che in metafora è la vita, ha ferite autentiche che cerco di esorcizzare con l'ironia (accostamenti improbabili), con la poetica del segno (line curve), con lo “straniamento” la figura retorica che modifica o ingigantisce un elemento e la “metalepsi” lo scambio della causa con l’effetto. La bellezza ha un sussulto, vacilla ma , in strada, c'è ancora resistenza.
Qualsiasi colore farebbe figurare forse meglio il quadro in un salotto ma mi allontanerebbe dall’intensità.
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La scelta è acromatica sia sull'asse della forma sia sul piano del contenuto: dramma della materia.
Cosa vogliono raccontare? Conflitti.
Fra memoria e presente, fra presenza e assenza, fra quello che si crede e ciò che è.
Perché la simbologia mostra le materie vili della città: bitumi, lamiere e crepe?
La strada , che in metafora è la vita, ha ferite autentiche che cerco di esorcizzare con l'ironia (accostamenti improbabili), con la poetica del segno (line curve), con lo “straniamento” la figura retorica che modifica o ingigantisce un elemento e la “metalepsi” lo scambio della causa con l’effetto. La bellezza ha un sussulto, vacilla ma , in strada, c'è ancora resistenza.
Qualsiasi colore farebbe figurare forse meglio il quadro in un salotto ma mi allontanerebbe dall’intensità.
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Il colore.
Ho terminato il paragrafo precedente dicendo che dal 2010 sono scappato dal colore per una necessità narrativa ma la pittura non può prescindere dalle emozioni cromatiche.
L’acromatismo può essere un passaggio non deve tramutarsi in vizio, sarebbe decadenza.
Un colore alla volta però.
Per una esigenza estetica ho preferito privilegiare:
— I colori primari (blu, rosso, giallo).
— Un solo colore dominante con accostamenti adiacenti.
— Quando possibile colori saturi (forse per il mio passato da pubblicitario).
La città propone non il contenuto ma la forma (la texture che scelgo).
Il colore dà invece la cifra degli stati d’animo.
Dall’ambiguo blu (un turbamento liquido) allo schierato rosso che sa solo sventolare.
Il giallo vorrebbe far festa ma risvolti scuri del nero e delle terre (o peggio del marrone) hanno il compito di far sprofondarlo nel dramma una contraddizione annunciata. In quel paesaggio inizia una discussione.
E' la natura del continuo nascere e morire. Sento allora il bisogno di accostare segni grafici meno esaltanti (alberi stecchiti o pietrificati) perché mi interessano più le contraddizioni della natura che il suo tripudio. Trovo difficile dipingere gli inni, mi è più facile raccontarvi i tormenti (è un mio limite espressivo non un giudizio sulla natura e la vita).
Il verde, specialmente nel ritratto, mi racconta un dolore insinuante, acido. Un addio consumato o latente. Quando sconfina col nero il danno è irreversibile - nulla sarà più come prima -.
Quando il verde o il nero iridono il giallo, messo lì per ricordare un antica allegria, sento che il dolore, quello che scopro come un rabdomante, alla fine sarà accettato.
Un giallo che non sorride più, che accetta il conformismo, è l'avorio. L'unico colore, al momento, che mi restituisce equilibrio.
L’acromatismo può essere un passaggio non deve tramutarsi in vizio, sarebbe decadenza.
Un colore alla volta però.
Per una esigenza estetica ho preferito privilegiare:
— I colori primari (blu, rosso, giallo).
— Un solo colore dominante con accostamenti adiacenti.
— Quando possibile colori saturi (forse per il mio passato da pubblicitario).
La città propone non il contenuto ma la forma (la texture che scelgo).
Il colore dà invece la cifra degli stati d’animo.
Dall’ambiguo blu (un turbamento liquido) allo schierato rosso che sa solo sventolare.
Il giallo vorrebbe far festa ma risvolti scuri del nero e delle terre (o peggio del marrone) hanno il compito di far sprofondarlo nel dramma una contraddizione annunciata. In quel paesaggio inizia una discussione.
E' la natura del continuo nascere e morire. Sento allora il bisogno di accostare segni grafici meno esaltanti (alberi stecchiti o pietrificati) perché mi interessano più le contraddizioni della natura che il suo tripudio. Trovo difficile dipingere gli inni, mi è più facile raccontarvi i tormenti (è un mio limite espressivo non un giudizio sulla natura e la vita).
Il verde, specialmente nel ritratto, mi racconta un dolore insinuante, acido. Un addio consumato o latente. Quando sconfina col nero il danno è irreversibile - nulla sarà più come prima -.
Quando il verde o il nero iridono il giallo, messo lì per ricordare un antica allegria, sento che il dolore, quello che scopro come un rabdomante, alla fine sarà accettato.
Un giallo che non sorride più, che accetta il conformismo, è l'avorio. L'unico colore, al momento, che mi restituisce equilibrio.
I racconti del blu.
Il blu copre ogni cosa svelando il meno possibile.
Serve alla pitture per passare una rivoluzione tranquilla appena in ansia da un barlume di rosso.
Serve alla pitture per passare una rivoluzione tranquilla appena in ansia da un barlume di rosso.
I racconti del rosso
Se il blu accarezza, il rosso sbrana.
Il rosso serve per accendere e la storia si racconta come si porta una bandiera.
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Il rosso serve per accendere e la storia si racconta come si porta una bandiera.
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I racconti dei gialli (inteso come tonalità non nel senso del poliziesco).
I racconti gialli (inteso come tonalità non nel senso del poliziesco).
Il giallo, o è colore solare per vicende radiose o promette il veleno del cadmio (dalle cui tossiche miniere si ricava). Per questo Giotto rappresenta Giuda di quel colore. Così io lo scelgo per tensioni in bilico.
Van Gogh diceva: “Non c’è blu senza giallo e arancione” (quest’ultimo è il complementare del blu). Io accosto il blu al giallo per intrigare e i toni del marrone fino al nero per inquietare.
Il giallo, o è colore solare per vicende radiose o promette il veleno del cadmio (dalle cui tossiche miniere si ricava). Per questo Giotto rappresenta Giuda di quel colore. Così io lo scelgo per tensioni in bilico.
Van Gogh diceva: “Non c’è blu senza giallo e arancione” (quest’ultimo è il complementare del blu). Io accosto il blu al giallo per intrigare e i toni del marrone fino al nero per inquietare.
E gli altri colori?
Confesso di stentare a lavorare con i secondari e ancora di più a cercare contrasti non reticenti.
Accetto, istintivamente, quelli di complementarietà.
Quelli più arditi mi bloccano. Capisco che è un limite, procedere significa però “superare frontiere”… la vita è così.
Accetto, istintivamente, quelli di complementarietà.
Quelli più arditi mi bloccano. Capisco che è un limite, procedere significa però “superare frontiere”… la vita è così.
Oltre i colori.
Ho iniziato la presentazione dal colore perché ritengo che sia un segno personale dell’artista come la calligrafia. È la prima emozione a raggiungere lo spettatore e, al di là di ogni altro significante, indirizza immediatamente lo stato d’animo.
Sia ben chiaro: chi acquista un quadro sta collocando una macchia di colore e un emozione in salotto. Col tempo, paradossalmente, la macchia di colore resta mentre l’emozione scolora.
Ci sono altri segni nella produzione artistica, io però ho difficoltà a raccontarmi secondo paesaggi o figure.
Non dipingo mai davanti a qualcosa ma nella mente di chi guarda, nel tratto che va dal chiedersi cosa e capire perché.
L’esercizio è anticipare le emozioni collegabili ai segni.
Nel mio stile e nei miei limiti, muovo, anzi manovro - provando e riprovando - sensazioni.
Mi viene più facile dividere la presentazione dei miei quadri in Leggerezza e Gravità.
Nella prima introduco un mondo pacificato. Il tema dominante è quello degli animali.
Nella seconda il sacro (dal Crocifisso al Duomo).
Una terza via è il terrificante stato dell’attesa che è un’obliqua sensazione col fiato sospeso, come dice il filosofo, fra il mutismo degli animali e il silenzio di Dio. A metà strada fra leggerezza e gravità.
Sia ben chiaro: chi acquista un quadro sta collocando una macchia di colore e un emozione in salotto. Col tempo, paradossalmente, la macchia di colore resta mentre l’emozione scolora.
Ci sono altri segni nella produzione artistica, io però ho difficoltà a raccontarmi secondo paesaggi o figure.
Non dipingo mai davanti a qualcosa ma nella mente di chi guarda, nel tratto che va dal chiedersi cosa e capire perché.
L’esercizio è anticipare le emozioni collegabili ai segni.
Nel mio stile e nei miei limiti, muovo, anzi manovro - provando e riprovando - sensazioni.
Mi viene più facile dividere la presentazione dei miei quadri in Leggerezza e Gravità.
Nella prima introduco un mondo pacificato. Il tema dominante è quello degli animali.
Nella seconda il sacro (dal Crocifisso al Duomo).
Una terza via è il terrificante stato dell’attesa che è un’obliqua sensazione col fiato sospeso, come dice il filosofo, fra il mutismo degli animali e il silenzio di Dio. A metà strada fra leggerezza e gravità.
I racconti degli animali.
Più invecchio più li amo. Da sempre li preferisco agli umani. A volte anche i virus e le muffe.
I racconti dell’attesa.
L’equilibrio perfetto un attimo prima del crollo.
In questo disastro, non so come, ci sono tutte le parole non dette.
In questo disastro, non so come, ci sono tutte le parole non dette.
Vi è capitato di sfiorare per strada persone delle quali vi rimangono addosso i pensieri?
Certo è una sensazione vaga. Persone sempre di spalle avvolte nel proprio silenzio.
Poi cominciate a seguirle con gli occhi, ascoltate .... è un contatto debole ma nitido, la loro storia sta per raggiungervi.
A volte ne sentite la distanza, percepite la loro lontananza dagli affetti.
La solitudine di queste immagini è prigione (ecco il signigicante delle righe a mo' di sbarre).
Queste silhouettes non sono mai sole, è perché insieme agli altri ci si sente ancora più soli.
Perché silouettes? Perché non sono persone ma stati d'animo.
Perché il tabarro? Il tabarro, un po' antico, un po' speciale esaspera la chiusura delle persone. Il cappotto si infila, il tabarro avvolge... chiude. E' un indumento che esclude l'abbraccio.
Perché il Borsalino in testa? Per collocare l'età e la fascia sociale.
Certo è una sensazione vaga. Persone sempre di spalle avvolte nel proprio silenzio.
Poi cominciate a seguirle con gli occhi, ascoltate .... è un contatto debole ma nitido, la loro storia sta per raggiungervi.
A volte ne sentite la distanza, percepite la loro lontananza dagli affetti.
La solitudine di queste immagini è prigione (ecco il signigicante delle righe a mo' di sbarre).
Queste silhouettes non sono mai sole, è perché insieme agli altri ci si sente ancora più soli.
Perché silouettes? Perché non sono persone ma stati d'animo.
Perché il tabarro? Il tabarro, un po' antico, un po' speciale esaspera la chiusura delle persone. Il cappotto si infila, il tabarro avvolge... chiude. E' un indumento che esclude l'abbraccio.
Perché il Borsalino in testa? Per collocare l'età e la fascia sociale.
Il quadro sopra usa le texture prese dalla città; superfici degradate, avvilite, livide, intaccate dal vivere quotidiano.
Questa metafora fra contenuto (gli uominio intabarrati) e il contenitore (le superfici corrose) è' un modo per trasmettere lo stato d'animo che, dopo l'attrazione estetica, è quello che un artista visivo cerca. La forma attrae ma i contenuti seducono. Photoshop perfeziona le scelte cromatiche in una logica di accostamenti di colore (quelli che meglio rappresentano la situazione). Il metodo permette di provare e riprovare diverse sfumature di colori. Sempre in modo digitale si lavora sulle trasparenze per bilanciare gli equilibri (se la casa in alto a sinitra fosse più marcata sarebbe un attore un più nella rappesentazione distraendo chi guarda). . |
Un altro modo per rappresentare la stessa sittuazione è intervenire in modo analogico dipingendo la tela (in questo caso con spatola e colori acrilici). E il quadro che vedete a sinistra fotografato da una parete.
L'osservazione a computer rende più emozionante l'approccio sopra (perché l'immagine è retroilluminata) ma a livello di quadro appoggiato alla parete la tridimensionalità della pittura guida l'emozione
L'osservazione a computer rende più emozionante l'approccio sopra (perché l'immagine è retroilluminata) ma a livello di quadro appoggiato alla parete la tridimensionalità della pittura guida l'emozione
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Da qui al ritratto il passo è breve. Non è più lun soggetto che ti passa accanto ma tu che cerchi quel soggetto perché sai che porta una storia dentro.
E se fosse un ritratto?
Le persone ci trasmettono sensazioni che la pittura può dilatare. La postura, i vestiti, ciò che circonda è materia dello stesso racconto. Il percorso narrativo è simile alla scrittura. Photoshop mi aiuta dove la tecnica mi scoraggia.
Sono partito dall'autoritratto del mio bisnonno, Rocco Lentini. Lui sì un grande pittore.
Se passate da Palermo lo trovate al Museo di Arte Contemporanea ma più facilmente negli affreschi del teatro Politeama e sul soffitto della stazione ferroviaria.
Spero che dall'aldilà non consideri un gesto irriverente portare il suo segno nel tempo attuale; elaborarlo nel mio modo di essere, a volte, impressionista. Vorrei non lo giudicasse male.
Volevo permettermi un segno di affetto. Un bisogno di appartenenza. E' difficile in poche righe spiegare storie di una famiglia. Questo quadro è dedicato a sua figlia Nina. Nina è stata mia nonna, una delle persone che più ho amato.
Se passate da Palermo lo trovate al Museo di Arte Contemporanea ma più facilmente negli affreschi del teatro Politeama e sul soffitto della stazione ferroviaria.
Spero che dall'aldilà non consideri un gesto irriverente portare il suo segno nel tempo attuale; elaborarlo nel mio modo di essere, a volte, impressionista. Vorrei non lo giudicasse male.
Volevo permettermi un segno di affetto. Un bisogno di appartenenza. E' difficile in poche righe spiegare storie di una famiglia. Questo quadro è dedicato a sua figlia Nina. Nina è stata mia nonna, una delle persone che più ho amato.
I racconti del sacro.
Da non credente trovo struggenti certi spazi dei luoghi sacri. Sono il tentativo di raccontare un’altra vita.
Hanno la polvere di secoli. Quello che io, da ateo mistico racconto, è il dialogo possibile con queste attese.
Hanno la polvere di secoli. Quello che io, da ateo mistico racconto, è il dialogo possibile con queste attese.
Il duomo.
Il tempio.
L’oro è inscindibile dall’arte sacra, per un retaggio medioevale e per simbolismo. Se l’ho usato poco è solo per i costi non per convinzione, mi riprometto di farlo. Oro, rosso e nero fanno il racconto. L’azzurro, metafora del cielo, o un bianco acido, metafora del dubbio consentito, suggeriscono finali possibili.
L’immagine sacra.
Gli angeli.
Pietre da guado.
Come sono arrivato a quello che avete visto? Non direttamente dalla pittura tradizionale, abbandonata da giovanissimo e sostituita, come per la scrittura con niente. Per disaffezione? No, perché il lavoro quotidiano mi assorbiva più di dieci ore al giorno consegnandomi frullato alla notte. Certo non era il catasto, era la pubblicità ma la creatività navigava fra consumi e consumatori. Un piccolo mare - rispetto all'arte - ma già affascinante. Mi ritengo fortunato per aver percorso quegli anni e quei progetti.
Ai quadri sono arrivato appena è finito il lavoro, trentacinque anni dopo (per fortuna trentacinque anni di contributi altrimenti non potrei dipingere, l’Inps è la mia mecenate).
La ripresa avvenne attraverso la fotografia e la sua digitalizzazione con Photoshop. Il passaggio fu la pietra da guado per raggiungere la pittura. I miei quadri, come ho già spiegato, li progetto prima al computer, poi, solo le opere che più mi stimolano, diventano tele e trovano nel bassorilievo un’ulteriore dimensione espressiva. Oggi trascorro solo un decimo del mio tempo da artista al computer ma è solo lì che passa la creatività. L’altro novanta per cento è lavoro artigianale con i pennelli e il taglierino per incidere il polistirene (il corpo del bassorilievo). Purtroppo, per non aver studiato (ho fatto la Bocconi invece di Brera) il maneggio dei pennelli è per me la cosa più impegnativa. Con Photoshop volo, con tela e tempera arranco. Per fortuna l’arte non ha più i pregiudizi di una volta.
Che fotografo ero?
Pittorico, di quelli con il deprecabile vizio di mettere in posa la realtà, più bravo a comporre e a inventare in camera oscura che a seguire l’attimo fuggente. Dietro l’obiettivo però ho appreso la sintesi espressiva e, a furia di fare, il metodo è diventato istinto.
Avevo fin da giovane studiato semiotica per fare meglio il pubblicitario ora tutto si ricomponeva.
Dalla Nikon a Photoshop fu il primo balzo. Dall’elaborazione alla pittura il salto è stato inevitabile e liberatorio.
Ai quadri sono arrivato appena è finito il lavoro, trentacinque anni dopo (per fortuna trentacinque anni di contributi altrimenti non potrei dipingere, l’Inps è la mia mecenate).
La ripresa avvenne attraverso la fotografia e la sua digitalizzazione con Photoshop. Il passaggio fu la pietra da guado per raggiungere la pittura. I miei quadri, come ho già spiegato, li progetto prima al computer, poi, solo le opere che più mi stimolano, diventano tele e trovano nel bassorilievo un’ulteriore dimensione espressiva. Oggi trascorro solo un decimo del mio tempo da artista al computer ma è solo lì che passa la creatività. L’altro novanta per cento è lavoro artigianale con i pennelli e il taglierino per incidere il polistirene (il corpo del bassorilievo). Purtroppo, per non aver studiato (ho fatto la Bocconi invece di Brera) il maneggio dei pennelli è per me la cosa più impegnativa. Con Photoshop volo, con tela e tempera arranco. Per fortuna l’arte non ha più i pregiudizi di una volta.
Che fotografo ero?
Pittorico, di quelli con il deprecabile vizio di mettere in posa la realtà, più bravo a comporre e a inventare in camera oscura che a seguire l’attimo fuggente. Dietro l’obiettivo però ho appreso la sintesi espressiva e, a furia di fare, il metodo è diventato istinto.
Avevo fin da giovane studiato semiotica per fare meglio il pubblicitario ora tutto si ricomponeva.
Dalla Nikon a Photoshop fu il primo balzo. Dall’elaborazione alla pittura il salto è stato inevitabile e liberatorio.
Dalla fotografia alla pittura.
Fotografie.
ALLEGATO Approfondimento.
Maggiori dettagli, spiegazioni tecniche, taglio didattico.
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